sabato 19 settembre 2009

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Quanto fa male il marketing della salute

http://notizie.tiscali.it/articoli/lavoce/09/settembre/marketing_farmaci_234.html

riporto dal sito di tiscali.it

Quanto fa male il marketing della salute

di Gianfranco Domenighetti (www.lavoce.info)
Check-up, screening e test diagnostici di massa su persone asintomatiche finiscono spesso col sovrastimare l'incidenza di morbilità inconsistenti. Mentre alcune condizioni sono elevate a dignità di malattia per poter far ricadere i costi dei trattamenti sui sistemi sanitari. Il successo di queste strategie è favorito dalla complessità, incertezza e asimmetria informativa generalizzata che caratterizzano il mercato della sanità. Ma non si può più ignorare la necessità di ri-orientare i comportamenti e le risorse dai consumi inutili ai trattamenti efficaci.
I sistemi sanitari moderni soffrono di due grandi mali: il sotto-trattamento di alcune categorie di individui (le persone culturalmente e socialmente più deboli o sprovviste, come negli Usa, di coperture assicurative) e il sovra-trattamento di altre categorie (esposte al consumo di prestazioni di dubbia efficacia o destinate a essere trattate ancorché sane). La sostenibilità dei sistemi sanitari dipende dalla capacità di ri-orientare le risorse dai consumi inutili ai trattamenti efficaci.
Il dottor Knock e il trionfo della medicina - La tematica della medicalizzazione della vita e della società non è nuova ed è stata anticipata all'inizio del secolo scorso allorquando la genialità di Jules Romains fa dire al famoso dottor Knock che “i sani non sono altro che degli ammalati che non sanno di esserlo”. Più recentemente, un articolo apparso sull'autorevole British Medical Journal del 13 aprile 2002 ricordava, parafrasando il dottor Knock, “che si possono fare molti soldi se si riesce a convincere i sani che in realtà sono degli ammalati”. Ippocrate sta per essere a poco a poco soppiantato dal dottor Knock. Ed ecco come ciò sta avvenendo.L'estensione del dominio della medicina avviene su tre livelli. Il primo è quantitativo e riguarda l'aumento del numero di persone identificabili come “malate” . Ciò si verifica per effetto dell'abbassamento delle soglie oltre le quali viene considerata “patologica” una determinata condizione in relazione a specifici “fattori di rischio”: in particolare ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, eccetera. Ne consegue che milioni di persone passano dalla condizione di “soggettivamente sane” a quella di “oggettivamente malate”, diventando così suscettibili di un qualche trattamento sanitario, a causa della semplice modifica del concetto di “valore normale” di un dato parametro biologico. È importante sottolineare che la medicalizzazione dei fattori di rischio in prevenzione primaria sta significativamente modificando l'approccio terapeutico del medico, sempre più orientato al trattamento di “probabilità anonime”: quando si trattano persone in buona salute il risultato dell'intervento a livello individuale non è misurabile che sulla base di “endpoints” (per esempio, la riduzione del tasso di colesterolo) il più delle volte fallaci perché non permettono di identificare coloro (pochi) che ne hanno realmente tratto beneficio in termini di eventi acuti o di mortalità evitati.
Una società ammalata di un'epidemia di diagnosi - Un secondo livello è temporale e riguarda l'anticipazione di una diagnosi in soggetti asintomatici, tramite la promozione di check-up, test di diagnosi precoce e screening di efficacia dubbia, controversa o non solidamente dimostrata. Non a caso il New York Times del 2 gennaio 2007 ha affermato che oggi “ quello che ci fa ammalare è un'epidemia di diagnosi”. (1)Sorprende infatti la diffusa fiducia nei test di diagnosi precoce. Negli Usa, il 50 per cento delle donne prive di collo dell'utero, a seguito di isterectomia totale, continuano a sottoporsi al test per la diagnosi precoce del tumore al collo dell'utero; in molti paesi europei la situazione non è diversa. (2) Altri studi mostrano come il 60 per cento della popolazione sia perfino disposta a sottoporsi al test per la ricerca precoce del tumore al pancreas, purtroppo praticamente incurabile. Come pure che l'80 per cento delle donne italiane credono che il sottoporsi regolarmente alla mammografia eviti o riduca il rischio di ammalarsi di cancro al seno e non consenta semplicemente una diagnosi precoce e quindi un trattamento meno invasivo. (3)Il marketing industriale e mediatico ha indotto nel pubblico l'equazione “diagnosi precoce uguale guarigione assicurata”. In realtà check-up, screening e test diagnostici di massa su persone asintomatiche finiscono spesso col sovrastimare l'incidenza di morbilità “inconsistenti”, che non evolveranno mai nel corso della vita in vere e proprie patologie, o coll'anticipare la diagnosi di una malattia non modificabile in termini di sopravvivenza, compromettendo peraltro la serenità negli anni di vita residua.
La classificazione internazionale delle non malattie - Il terzo livello è qualitativo e riguarda l'attribuzione di stato di “malattia” a condizioni che fanno parte dei normali processi biologici. Non a caso il British Medical Journal ha pubblicato una “Classificazione internazionale delle non-malattie” che contiene oltre 200 condizioni considerate, a torto, malattie. Fra queste la menopausa, la fobia e l'apatia sociale, la ribellione adolescenziale, il colon spastico, la sindrome di fatica cronica, la cellulite, e cosìvia. Quando una data condizione è elevata a dignità di “malattia”, i costi dei trattamenti possono essere posti a carico dei sistemi sanitari, il che facilita l'espansione dei mercati delle tecnologie sanitarie. Le strategie si fondano da un lato su politiche di marketing e di comunicazione di regola aggressive e “non trasparenti” verso i prescrittori, i finanziatori, i regolatori nonché i pazienti-consumatori. E dall'altro su incentivi economici e professionali molto spesso perversi, in grado di generare conflitti di interessi e corruzione. Favoriscono il successo di queste strategie la complessità, l'incertezza e l'asimmetria informativa generalizzata che caratterizzano il “mercato” della sanità, il marketing mediatico dei rischi sanitari e il crescente mito dell'efficienza fisica, del benessere a tutti i costi, del rifiuto dell'invecchiamento biologico. Nell'industria farmaceutica, ad esempio, gli investimenti in marketing sono due volte più elevati di quelli destinati alla ricerca; solo il 2,4 per cento dei farmaci immessi sul mercato dal 1981 al 2008 rappresentano un vero importante progresso terapeutico, mentre l'80 per cento non sono che copie dell'esistente, ad eccezione del prezzo che di regola è triplicato.La costruzione sociale delle malattie sta per essere sostituita da quella industriale, il che avrà un impatto ancora maggiore sull'insicurezza individuale e sociale, sulla crescita della domanda e dei costi e, quindi, sulla sostenibilità dei sistemi sanitari “universali” come oggi li conosciamo. I responsabili di tali sistemi non possono ignorare la necessità di ri-orientare i comportamenti e le risorse dai consumi inutili ai trattamenti efficaci, riducendo così anche parte di quelle diseguaglianze che gravano sui consumatori meno informati e più deboli.
(1) http://www.nytimes.com/2007/01/02/health/02essa.html(2) Sirovich BE., Cervical cancer screening among women without a cervix, JAMA 2004; 291: 2990-2993.(3) Domenighetti G. et al., Women's perception of the benefits of mammography screening: population-based survey in four countries, Int J of Epid 2003; 32: 816-821.
18 settembre 2009

c'è poco da aggiungere alle sacrosante considerazioni di questo articolo, se non che ognuno ha il dovere di aumentare la propria consapevolezza.

meditate, gente, meditate!

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